Ombra
2003-08-16 18:47:17 UTC
- Sai, in fondo penso questo: il mio compito è creare finestre dove
prima vi erano muri.
- Certo non ti manca il dono della sintesi.
- Vabbe', te la riformulo: il mio compito è quello di creare delle
finestre dove prima vi erano dei muri.
- Si', cosi' va meglio. Se ogni tanto la smettessi di tentare di
condensare quel che si puo' spandere senza che sia latte, e senza
quindi bisogno di piangervi sopra...
Eppure penso proprio che sia cosi'.
Ti ho trovato in una stanza dalle pareti scure, te che adesso giochi
con le mie parole, con una porta cosi' piccola che per entrarci mi
sono dovuta piegare e fare tre passi con la testa tra le ginocchia. Il
soffitto era alto, invece, e tu mi dicevi che questo era buono, ed
ancor piu' buono era il trapano comprato d'occasione, e la tua sedia
traballante di un viola chiaro appena scrostato sui bordi. Li' dentro
c'era posto per te solo, e molte volte mi hai rinfacciato l'ardire di
entrare, cosi' com'ero, a piedi nudi. Ma per uscire mi sarei dovuta di
nuovo chinare, e il timore di un tuo calcio d'addio, neanche fossi io
stessa una sedia, me lo aveva impedito. Ma avevi ragione tu: si stava
stretti.
Le ho scavate col cucchiaio, le feritoie sul lato est, perche' mi
mancava il sorgere del sole. Non te ne sei accorto fino a quel giorno,
quando ti sei girato verso di me e hai cominciato a vedermi sotto
un'altra luce. Per settimane, poi, hai finto di non notare la mia
stanchezza, le mani indurite e coperte di graffi, le unghie scheggiate
e i raggi dell'alba che ogni mattina ti svegliavano piu' decisi.
Gli archi sul lato ovest li ho aperti col piccone. Volevo vedere il
tramonto. E tu gia' non ti ribellavi, passavi lo stucco sui bordi dei
vetri perche' dall'altra parte non entrasse l'inverno, insieme
all'aurora, mentre io sudavo a spaccare mattoni. Perche' era estate,
ma tu che ne potevi sapere.
E poi ho cominciato a trovarti sempre piu' spesso a scrutare
l'orizzonte, e lo sapevo che in mia presenza ti trattenevi dal
sospirare.
L'apertura per la vetrata verso sud l'abbiamo fatta insieme, col
martello pneumatico, e abbiamo colorato e composto i tasselli sedendo
alla turca in mezzo al pavimento lavato.
Sulla parete nord c'e' la testiera del letto. Anche il materasso, hai
cambiato, e non ti lamenti piu' del mal di schiena. E adesso che ti
occupi tu di dare l'acqua ai fiori sui davanzali, credo sia giunto per
me il tempo di ripartire.
Sono rimasta a guardarti a lungo, stamattina, e ho sorriso al tuo
sorriso sereno, ai tuoi capelli sempre piu' inargentati. Prima di
uscire, stanotte, non so se potro' darti un bacio. Te l'ho detto: il
mio compito e' creare finestre dove prima vi erano muri. Tutto qua.
prima vi erano muri.
- Certo non ti manca il dono della sintesi.
- Vabbe', te la riformulo: il mio compito è quello di creare delle
finestre dove prima vi erano dei muri.
- Si', cosi' va meglio. Se ogni tanto la smettessi di tentare di
condensare quel che si puo' spandere senza che sia latte, e senza
quindi bisogno di piangervi sopra...
Eppure penso proprio che sia cosi'.
Ti ho trovato in una stanza dalle pareti scure, te che adesso giochi
con le mie parole, con una porta cosi' piccola che per entrarci mi
sono dovuta piegare e fare tre passi con la testa tra le ginocchia. Il
soffitto era alto, invece, e tu mi dicevi che questo era buono, ed
ancor piu' buono era il trapano comprato d'occasione, e la tua sedia
traballante di un viola chiaro appena scrostato sui bordi. Li' dentro
c'era posto per te solo, e molte volte mi hai rinfacciato l'ardire di
entrare, cosi' com'ero, a piedi nudi. Ma per uscire mi sarei dovuta di
nuovo chinare, e il timore di un tuo calcio d'addio, neanche fossi io
stessa una sedia, me lo aveva impedito. Ma avevi ragione tu: si stava
stretti.
Le ho scavate col cucchiaio, le feritoie sul lato est, perche' mi
mancava il sorgere del sole. Non te ne sei accorto fino a quel giorno,
quando ti sei girato verso di me e hai cominciato a vedermi sotto
un'altra luce. Per settimane, poi, hai finto di non notare la mia
stanchezza, le mani indurite e coperte di graffi, le unghie scheggiate
e i raggi dell'alba che ogni mattina ti svegliavano piu' decisi.
Gli archi sul lato ovest li ho aperti col piccone. Volevo vedere il
tramonto. E tu gia' non ti ribellavi, passavi lo stucco sui bordi dei
vetri perche' dall'altra parte non entrasse l'inverno, insieme
all'aurora, mentre io sudavo a spaccare mattoni. Perche' era estate,
ma tu che ne potevi sapere.
E poi ho cominciato a trovarti sempre piu' spesso a scrutare
l'orizzonte, e lo sapevo che in mia presenza ti trattenevi dal
sospirare.
L'apertura per la vetrata verso sud l'abbiamo fatta insieme, col
martello pneumatico, e abbiamo colorato e composto i tasselli sedendo
alla turca in mezzo al pavimento lavato.
Sulla parete nord c'e' la testiera del letto. Anche il materasso, hai
cambiato, e non ti lamenti piu' del mal di schiena. E adesso che ti
occupi tu di dare l'acqua ai fiori sui davanzali, credo sia giunto per
me il tempo di ripartire.
Sono rimasta a guardarti a lungo, stamattina, e ho sorriso al tuo
sorriso sereno, ai tuoi capelli sempre piu' inargentati. Prima di
uscire, stanotte, non so se potro' darti un bacio. Te l'ho detto: il
mio compito e' creare finestre dove prima vi erano muri. Tutto qua.
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